La simulazione di phishing è uno degli strumenti più potenti per misurare e rafforzare la consapevolezza dei dipendenti. Ma la sua efficacia dipende da una variabile spesso sottovalutata: la frequenza.
La domanda chiave infatti per ogni IT o Security Manager è: “Qual è il giusto ritmo per ottenere risultati, senza sovraccaricare l’utente?”
Le best practice del settore raccomandano di pianificare più simulazioni di phishing distribuite nel tempo, mantenendo alta l’attenzione attraverso campagne regolari e ben strutturate su base semestrale. Tuttavia, un’eccessiva frequenza non calibrata può generare assuefazione, frustrazione o, nel peggiore dei casi, disinteresse da parte degli utenti.
Perché le simulazioni una tantum non funzionano
Un test annuale può servire a soddisfare requisiti di compliance, ma non costruisce una cultura della sicurezza. L’apprendimento efficace si basa su ripetizione, rinforzo e applicazione pratica — non su esposizioni occasionali.
Secondo il Verizon DBIR 2023, il 36% delle violazioni analizzate coinvolge attacchi di phishing, spesso all’interno di scenari multi-vettore in cui la componente umana gioca un ruolo decisivo: clic su link, apertura di allegati, inserimento di credenziali.
In questo contesto, l’abitudine fa la differenza. Chi ha già allenato l’attenzione al rischio sviluppa meccanismi di risposta più rapidi e consapevoli. Una simulazione una tantum non crea questo automatismo. Genera sorpresa. E la sorpresa non costruisce competenza.
Il paradosso della frequenza: troppo poco non serve, troppo spesso irrita
Qui nasce il vero problema operativo: trovare il giusto equilibrio.
Un approccio troppo aggressivo può:
- saturare l’attenzione
- minare la fiducia verso il team IT
- innescare reazioni difensive o passive (“tanto è sempre un test”)
Al contrario, un ritmo insufficiente:
- non stimola l’apprendimento distribuito
- non consente un monitoraggio costante
- lascia scoperti interi team o momenti critici (es. onboarding, picchi di attività)
Il concetto di “phishing dwell time” — ovvero il tempo che intercorre tra l’arrivo di un’email malevola e la sua identificazione da parte dell’utente — è ormai centrale nella valutazione dell’efficacia della formazione. Le aziende che svolgono simulazioni regolari e mirate mostrano tempi di reazione significativamente più rapidi rispetto a chi adotta un approccio sporadico o puramente formale.
Il punto non è fare “più test”, ma farli in modo coerente, calibrato e sostenibile. Non esiste una frequenza valida per tutte le realtà: il ritmo ottimale è adattivo, costruito sulla base del rischio, del ruolo e del comportamento degli utenti. Meglio meno simulazioni, ma ben progettate, che una routine massiva e ripetitiva che finisce per perdere di efficacia — e di senso.
Come mantenere alta l’attenzione (senza perdere consenso)
La chiave per rendere le simulazioni efficaci non è “mettere alla prova” gli utenti, ma trasformare ogni test in un momento di apprendimento situazionale. Non si tratta di coglierli in fallo, ma di aiutarli a riconoscere il rischio nel contesto reale in cui operano.
Un primo elemento cruciale è l’uso della gamification: badge, classifiche, premi simbolici e feedback positivi possono incentivare l’attenzione senza generare stress. Invece di colpevolizzare chi sbaglia, meglio valorizzare chi migliora, trasformando l’esperienza in un’occasione di crescita.
Fondamentale è anche il tono della comunicazione. Le simulazioni più efficaci usano un linguaggio umano e credibile, vicino alla quotidianità dell’utente, senza diventare punitive o allarmistiche. L’obiettivo è che il messaggio venga percepito come utile, non come un tranello. Per mantenere alta la soglia dell’interesse, è utile inserire elementi creativi nella progettazione dei contenuti: campagne a tema, riferimenti culturali (anche pop), meme mirati. Questi accorgimenti aiutano a rompere la routine e rendono la formazione più memorabile.
Ma più di ogni altra cosa, ciò che fa la differenza è il feedback immediato.
Un messaggio contestuale subito dopo l’errore ha un impatto molto più forte rispetto a una formazione teorica svolta settimane dopo. È in quel preciso momento — quando l’errore è ancora fresco — che la persona è più ricettiva e pronta a cambiare comportamento.
Un caso pratico: il nostro approccio con Albert
Per risolvere questo problema in modo strutturato, abbiamo sviluppato un framework basato su simulazioni personalizzate, cicliche e intelligenti, integrate nel nostro programma di awareness continuo: Albert.
Con Albert:
- il ritmo delle simulazioni viene adattato al ruolo, al rischio e alla risposta dell’utente
- il contenuto evolve nel tempo, evitando la ripetitività
- ogni simulazione è seguita da un micro feedback immediato e contestuale
- il sistema monitora KPI comportamentali reali, offrendo al team IT report chiari, azionabili e progressivi
Risultato: un programma di phishing simulation sostenibile, progressivo e misurabile, che non sovraccarica ma educa.
L’obiettivo non è “mettere alla prova” ma formare per davvero. Una simulazione efficace non serve per “beccare chi sbaglia”, ma per allenare chi può migliorare. È un processo di apprendimento distribuito, non un audit mascherato.
Come team IT o responsabili sicurezza, il vero traguardo è uno solo: trasformare ogni clic in un’occasione formativa. E ogni simulazione in un passo verso una cultura del rischio più matura.