La tentazione è cercare un colpevole. Ma la domanda giusta è un’altra: cosa abbiamo messo in campo perché, se cade un pezzo, non crolli il castello? La risposta, troppe volte, è “ci penseremo”. E “ci penseremo” non paga stipendi né salva la reputazione.
Faccio l’inventario delle dipendenze: DNS che non risolve, identità che non autentica, code ferme, automazioni in attesa. Un’orchestra senza direttore. Capisco che l’affidabilità non si compra: si progetta.
Alle 9:30 sento il peso delle scelte rinviate: “una regione basta”, “replichiamo domani”. Intanto il customer care passa alle scuse, il commerciale rimbalza tra schermate vuote, la produzione aspetta segnali. Ogni minuto vale un’ora.
Dentro al caos arriva una chiarezza: la resilienza non è un nice to have, è un attributo del modello di business. Vuol dire accettare che l’errore accadrà e decidere che non deve spezzarci: distribuire gli organi vitali, conoscere le dipendenze invisibili, provare i failover quando va tutto bene. DNS, identità, automazioni e osservabilità sono serie A. E si fa allenamento: “game day” in cui spegniamo per finta e misuriamo se l’azienda respira.
Nel pomeriggio i servizi tornano a ondate. La differenza non è la durata del blackout, ma come ci siamo arrivati: chi ha progettato ridondanza barcolla e riparte; chi ha confuso l’affidabilità del provider con la propria resta impantanato. Dobbiamo scegliere: fortuna e patch, o ridondanza e disciplina come vantaggio competitivo.
La sera decido il punto di svolta: niente single point of failure su ciò che paga le bollette. Dove oggi è una sola zona, domani multi-AZ o multi-region. Identità con percorsi di continuità. DNS con piani B. Pipeline che non sono colli di bottiglia. Osservabilità che racconta tutto, in tempo reale. E in agenda allenamenti alla crisi: fallire in prova per riuscire sul campo.
La parte umana è ancora più netta: la fiducia dei clienti vale più di qualsiasi uptime teorico. Serve un disegno che abbracci processi, persone e tecnologia. Qui un partner capace di gestire il modern workplace fa la differenza: identità al centro, dispositivi governati, policy coerenti e un piano di continuità che regge quando salta la corrente.
Il giorno dopo ripartiamo, ma diversi. Il cloud è potente, non magico. La promessa che faccio è questa: non l’illusione del “mai down”, ma la certezza di un’organizzazione progettata per non fermarsi. Costa più della fortuna, ma molto meno di un’azienda ferma una mattina.
