Ma c’è un elemento che, più di tutti, continua a rappresentare il vero punto critico della sicurezza aziendale: il comportamento umano. Secondo il 2023 Verizon Data Breach Investigations Report, l’82% delle violazioni informatiche contiene una componente umana. Non si tratta sempre di negligenza o disattenzione, ma spesso di errori involontari, mancanza di consapevolezza, o peggio, inganni accuratamente costruiti. I criminali informatici non devono più “bucare” i sistemi: preferiscono convincere un dipendente a cliccare, aprire, autorizzare. E quasi sempre ci riescono.
In questo scenario, la tecnologia da sola non basta più. Anche gli strumenti più evoluti non possono proteggerci se chi li utilizza non è in grado di riconoscere una minaccia o non comprende le conseguenze delle proprie azioni. È qui che la security awareness diventa centrale: una strategia culturale, prima ancora che tecnica.
L’errore umano: la principale causa delle violazioni informatiche
Le tecniche di attacco si sono evolute, diventando sempre più sottili. Il phishing non è più un messaggio sgrammaticato con un link sospetto, ma una mail apparentemente autentica, scritta in perfetto stile aziendale, firmata da un collega o da un fornitore di fiducia. Gli attacchi di social engineering si basano sulla psicologia, sull’urgenza, sulla familiarità: stimolano risposte istintive, rapide, poco meditate.
Nel frattempo, il costo globale del cybercrime continua a crescere. Secondo Cybersecurity Ventures, nel 2024 ha raggiunto i 9,5 trilioni di dollari. Una cifra vertiginosa che equivale, in termini pratici, a una perdita di 255.000 dollari ogni secondo. Questo dato da solo basta a spiegare perché oggi più che mai, per un’azienda, evitare una violazione non è solo una questione tecnica, ma una questione economica, reputazionale e strategica.
Ma è vero che “la formazione aziendale sulla cybersecurity non funziona”?
Spesso si tende a pensare alla formazione come a un dovere amministrativo, una checklist da spuntare per essere in regola con la compliance. Ma la realtà è molto più complessa. Un corso una tantum, generico e mal integrato nel lavoro quotidiano, ha un impatto pressoché nullo. Anzi, i collaboratori lo vivono come un’interruzione, non come un’occasione di apprendimento.
È necessario cambiare approccio: la formazione deve diventare un’esperienza. Deve essere parte integrante della giornata lavorativa, e non un’interruzione. Deve parlare il linguaggio delle persone, non quello della tecnologia. Deve essere breve, concreta, rilevante. Non serve spiegare cos’è un attacco di tipo DNS spoofing: serve far capire come riconoscere una mail sospetta nel proprio contesto lavorativo.
Le ricerche ci dicono che le persone riescono a mantenere l’attenzione per pochi minuti alla volta — tra i 5 e i 7. Per questo l’approccio del micro-learning, fatto di brevi moduli formativi distribuiti nel tempo, è oggi il più efficace. Ancora meglio se inseriti nel flusso naturale di lavoro come ad una notifica all’interno della piattaforma di collaborazione che segnala una simulazione di phishing, un suggerimento in tempo reale mentre si interagisce con contenuti potenzialmente rischiosi. Ogni momento può diventare un’occasione per imparare.
Gamification e motivazione: come coinvolgere davvero i collaboratori
Un’altra componente fondamentale della formazione è la motivazione. Le persone non seguono le regole perché sono obbligate a farlo, ma perché ne capiscono il valore. Quando la formazione è ben fatta, piacevole, stimolante — magari con un pizzico di gamification, classifiche, sfide tra reparti o premi simbolici — le persone si sentono coinvolte. E un collaboratore coinvolto è molto più efficace di uno semplicemente informato.
Certo, non esiste una formula magica. Ogni azienda ha le sue caratteristiche, ogni team le sue abitudini. Ma ciò che conta è l’attenzione alla qualità dell’esperienza utente: come viene percepita la formazione? È chiara, accessibile, concreta? Oppure è vissuta come una perdita di tempo? Valutare regolarmente il gradimento e l’efficacia del percorso, anche attraverso strumenti come il Net Promoter Score o semplici survey interne, è essenziale per mantenerla viva e rilevante nel tempo.
Come creare una cultura aziendale della sicurezza: il ruolo di 4IT Solutions
L’obiettivo ultimo non è solo evitare incidenti. È costruire una cultura condivisa, in cui la sicurezza non sia un tema che riguarda solo l’IT, ma un valore trasversale, presente nelle scelte quotidiane di tutti. La cultura della sicurezza si costruisce nel tempo, con piccoli gesti, con messaggi coerenti, con il buon esempio. E si nutre di formazione, comunicazione, fiducia. Perché nessuna tecnologia potrà mai sostituire il potere della consapevolezza.
Per questi motivi abbiamo lanciato un nuovo programma dedicato alla cybersecurity awareness, con un approccio innovativo e orientato all’esperienza utente. Promuoviamo percorsi di formazione continua integrabili su varie piattaforme come Microsoft Teams, grazie a moduli di micro-learning da 5-6 minuti, distribuiti nel tempo e supportati dalla gamification. L’obiettivo è semplice: offrire contenuti efficaci, brevi e coinvolgenti che aiutino concretamente i collaboratori a riconoscere e prevenire minacce come phishing, social engineering e truffe digitali, senza interrompere la loro operatività quotidiana.